Indennità di maternità per lavoratrici straniere atipiche anche in assenza del permesso di lungo periodo

Secondo i giudici la prestazione deve attenersi al divieto di discriminazione per nazionalità previsto dall’art. 14 CEDU e dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali.

In una delle poche pronunce relative all’indennità  di maternità riservata alle lavoratrici straniere che, avendo lavorato in modo discontinuo, sono prive dei requisiti  per ottenere l’indennità ordinaria (ex art. 75 Dlgs 151/01), il Tribunale di Brescia ha ritenuto che,  sulla scorta dei noti precedenti della Corte Costituzionale relativi alle prestazioni di invalidità per gli stranieri,  la prestazione in questione vada ricondotta nell’ambito delle prestazioni volte a garantire “condizioni di vita accettabili” e che come tale sia soggetta al divieto di discriminazione per nazionalità di cui all’art. 14 CEDU e dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali.

A differenza di quella prevista dall’art. 74 Dlgs 151/01 (indennità di maternità di base, di competenza comunale,  riservata alle lavoratrici prive di qualsiasi versamento contributivo) quella prevista dall’art. 75, di importo leggermente superiore, è pagata direttamente dall’INPS e compete alle lavoratrici che, avendo lavorato in modo discontinuo, sono prive dei requisiti  per ottenere l’indennità ordinaria (aver cessato un lavoro subordinato da non più di 60 giorni o avere diritto alla NASPI).

Anche per questa indennità, l’art. 75 Dlgs 151/01 prevede il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria mentre, per cittadini di paesi extra UE, la titolarità del permesso di lungo periodo.

Da segnalare anche che il Tribunale ha ritenuto di non considerare l’eccezione dell’INPS che, pur avendo respinto la domanda amministrativa motivando esclusivamente sulla base della carenza del titolo di soggiorno, aveva poi argomentato in giudizio anche in ordine alla carenza del requisito contributivo che l’art. 75 richiede. Il Tribunale non ha ritenuto ammissibile, nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio, questa radicale modifica della motivazione del diniego.